Agricoltura di montagna legata al territorio? Cosa c’entrano i lamponi fuori suolo a Cavareno ?
Le Praterie dell’Alta Val di Non, un paesaggio da salvaguardare e valorizzare!
Per quanto riguarda l’associazione Alta Val di Non – Futuro Sostenibile sono 8 anni di lavoro a fianco delle istituzioni locali e provinciali e alle categorie di agricoltura, turismo, commercio e artigianato, al fine di promuovere una gestione del territorio, soprattutto quello agricolo, che continui nel migliore dei modi l’attività zootecnica o intraprenda altre colture agricole, diversificando la proposta sul territorio, sempre rispettando il paesaggio, facendo cioè agricoltura evitando le “infrastrutture in campagna” come pali di sostegno, teli di copertura, serre e tunnel.
Tutto parte da una presa di coscienza della popolazione, avvallata dalle amministrazioni locali e, solo negli ultimi due anni dall’assessorato all’urbanistica della provincia, condivisa col mondo contadino e con ospiti e turisti, che il paesaggio dell’Alta Val di Non sia un Valore da salvaguardare e valorizzare in una condivisione di impegno di popolazione-agricoltura-turismo.
A fianco delle norme introdotte sui Piani Regolatori dei Comuni dell’Alta Valle, che vietano su gran parte del territorio prativo le infrastrutturazioni in campagna, si è svolta una continua azione di promozione del consumo dei prodotti locali da agricolture a cielo aperto, inoltre si è costituito da anni il gruppo di produttori biologici “Amici della terra Alta Val di Non”, e vi sono iniziative per estendere la pratica biologica anche all’allevamento del bestiame.
A Cavareno tutto questo lavoro non è bastato perché è stata avviata un’attività di coltivazione di lamponi su un prato stabile in zona agricola di pregio paesaggistico sopra l’abitato.
Ma che problema c’è se si piantano lamponi??
Nessuno se i lamponi fossero coltivati in terra, sono una bella coltura, come tutta l’agricoltura è di fatto. Qui i lamponi verranno coltivati invece in vaschetta fuori suolo, in terriccio proveniente da chissà dove in sacchi di plastica, irrigati con fertilizzanti chimici, coperti da teli in pvc bianco fino a terra. Si tratta di un metodo di coltura industriale che non ha nessun legame fisico col terreno e nemmeno vuole averlo, non vuole problemi col suolo, produce un frutto omologato destinato al mercato globale. In pratica potrebbe benissimo essere fatta sul tetto dei magazzini della frutta o sui piazzali o sui tetti dei capannoni abbandonati di qualsiasi zona industriale, cambierebbe solo l’altitudine di coltivazione, null’altro.
Allora perché utilizzare 2500metri quadrati di prato di pregio (sottraendolo di fatto alla zootecnìa che reclama continuamente prati) per installare una coltura che nulla a che fare ha con quel luogo??
Poniamoci alcune domande:
1) perché coltivare lamponi fuori terra in capannoni di pvc , con un ingente investimento finanziario e un pesante danno al paesaggio che si ripercuoterà sull’economia turistica locale, con ingente produzione di rifiuti, come i sacchi in pvc del terriccio e il terriccio stesso da smaltire ogni anno come rifiuto speciale e le piante da smaltire più volte rispetto all’arco di vita temporale di un lampone coltivato in suolo e che dal suolo stesso trae linfa vitale e non da composti di sintesi chimica? Perché produrre frutti destinati al mercato globale, nel momento in cui i mercati globali stanno uccidendo le agricolture italiane? Perché danno un guadagno certo, matematico, risponde l’agricoltore!
2) Perché l’agricoltore non intraprende colture legate al terreno e al territorio, destinate al consumo locale, alla famosa filiera corta di cui tanto si parla? Perché non esiste ancora un mercato locale strutturato in maniera da dare garanzie economiche?Non c’è consumo, risponde l’agricoltore. In effetti, dopo anni di insistenze e proposte non esiste ancora un punto vendita di prodotti locali sullo stile Val di Gresta, il chè lascia le orticolture nonese confinate a livello “hobbystico”, eccezione fatta per il progetto privato “Dal Gran al Pan” della cerealicoltura e panificazione locale che ha avuto ottima riuscita.
3) Perché a Cavareno, che ha adottato misure urbanistiche atte ad evitare infrastrutture in campagna, è possibile fare questo? Perché è stata lasciata una finestra su quel territorio in cui poter svolgere agricoltura industriale, altrimenti il PRG non sarebbe stato approvato dalla provincia, ci rispondono.
Alla fine ci chiediamo: perché nonostante tutti i discorsi sulla biodiversità e sulla diversificazione delle pratiche agricole, sui criteri di gestione del territorio e del paesaggio tesi a salvaguardare quello che è il patrimonio esclusivo di certe zone del trentino come l’Alta Val di Non, il paesaggio appunto, evitandone la colonizzazione da parte del latifondo frutticolo, perché si opta ancora in questa zona per una produzione frutticola industriale che è l’antitesi di tutto quanto di cui si è parlato negli ultimi anni?
È colpa degli agricoltori, dei consumatori, della politica, degli amministratori??
Forse di tutti, sicuramente manca un coordinamento di idee e di pianificazione di un sistema territorio che , mentre si arrovella su unioni e fusioni e gestioni associate, presta il fianco ad azioni depauperanti del proprio paesaggio, unica sua esclusiva e vera risorsa. L’agricoltura di montagna è una risorsa materiale e immateriale legata al territorio, ne conserva e valorizza le caratteristiche e costituisce parte sostanziale di di un sistema economico fondato sulla sinergia di agricoltura-turismo-commercio-artigianato, attività che garantiscono lavoro per tutti e vivibilità dei paesi di montagna.
Oltre a ciò che i residenti e le amministrazioni locali hanno fatto nei limiti delle loro possibilità, per la salvaguardia e valorizzazione delle praterie di montagna, Alta Val di Non , Smarano e Rumo, è necessaria una supervisione e un coordinamento a livello provinciale che riconosca e onori criteri che a parole condivide ma per i quali nei fatti non è presente; serve una concreta e concertata azione di sostegno all’agricoltura di montagna, ad una zootecnia che è custode e manutentrice del territorio prativo ma che nei fatti è in costante difficoltà perché sotto lo scacco dei mercati globali.
Le agricolture di montagna hanno una funzione che va al di la delle produzioni, sono i famosi “giardinieri del territorio”, vanno seguite, coordinate, sostenute.
Giuliano Pezzini